Definirlo un mercatino dell’usato sarebbe riduttivo, considerato che persino una delle più importanti penne italiche del giornalismo di moda - Fabiana Giacomotti - lo annovera tra i luoghi cult da visitare per trovare capi importanti a prezzi interessanti. Si tratta del Mercatino Michela: un emporio del bello, dove il lusso diventa accessibile a chi, altrimenti, potrebbe soltanto lustrarsi gli occhi di fronte a vetrine inarrivabili.
Perché se una raffinata borsa rouge Cartier costa quanto la paga di un impiegato, in via Zambonate (civico 93, primo piano), la si può portare a casa con 220 euro. Un’immacolata pochette di Fendi? 160 (invece di 400 euro). Un paio di occhiali da sole con montatura in madreperla Chanel? 85 euro. E l’elenco delle ghiotte occasioni sarebbe ancora lungo, ma lo rimandiamo a dopo. Prima val la pena di conoscere la titolare del negozio - la solare Michela Montanari (nel tondo), pugliese, 52 anni splendidamente portati, trapiantata a Bergamo dal 1991 - e fare un tuffo nella storia di un’attività che, in 20 anni, è diventata punto di riferimento nell’intero Paese per gli abiti da sposa a buon mercato (dai 240 fino ai 1200 euro, ma solo quando si tratta di pura seta). «Dopo la maturità artistica, a Taranto, iniziai a lavorare per alcuni stilisti, disegnando linee che si rifacevano alla "moda Positano". Poi la decisione di trasferirmi a Milano, proseguendo il mio lavoro di stilista, fino a quando conobbi il Mercatino Michela di Milano: con la titolare si instaurò subito un feeling particolare e, a 23 anni, divenni responsabile del negozio. Ma, come in ogni storia, ecco l’amore: mio marito lavorava a Bergamo e, da lì, la decisione di spostarci qui e aprire, nel 1991, un qualcosa che ancora non c’era ed era di difficile comprensione. Il perbenismo di una città piccola comportava un atteggiamento di diffidenza nei confronti dei capi di seconda mano. C’è chi addirittura aveva paura nell’entrare a vendere i propri capi, per il timore che "la gente" l’additasse come povero. Poi, per fortuna, la mentalità è cambiata: oggi ho 2700 clienti registrate nel mio computer; in molte ogni sei mesi svuotano gli armadi per riempirli con le collezioni nuove. Si tratta di signore della Bergamo bene, abituate a rifarsi il guardaroba ad ogni stagione nelle più prestigiose boutique milanesi e orobiche. Piuttosto che dare capi tanto preziosi in beneficenza o regalarli a qualcuno - che potrebbe non gradire il gesto, offendendosi - mi portano qui shopping bag cariche di indumenti e accessori e affidano a me il compito di selezionare cosa tenere in conto vendita e cosa no».
Sì, perché da Mercatino Michela non entrano patacche o simili: «Ritiro solo capi in perfetto ordine, già portati in tintoria, di moda, che a prima vista sembrino addirittura nuovi. E di marchi prestigiosi: partiamo da Pinko o Patrizia Pepe, fino ad arrivare ai grandi nomi della moda mondiale. Gli abiti da sposa devono avere uno o massimo due anni. Le scarpe? Le prendo solo se non sono mai state indossate». E l’acquirente tipo? «Anche in questo caso, direi che si tratta di donne benestanti, libere professioniste o mogli di piccoli industriali, che sanno che venire da me significa trovare un abito di 1000 euro a 200. Più donne che uomini, perché questi ultimi hanno il vizio di consumare troppo i capi: e io non accetto nulla di liso».
Ma parliamo del fiore all’occhiello: gli abiti da sposa. «La crisi? E chi l’ha sentita! Direi che è stata proprio quella a indurre un incremento significativo nelle vendite. Ad occhio e croce un 40% in più. Arrivano future spose da Mantova, Milano, Verona, Brescia o Roma. Addirittura due da Parigi e dal Belgio: mi avevano scoperta in internet. Alcuni capi arrivano da atelier, altri sono di seconda mano: in questo caso sono scrupolosissima, perché mi sincero che non abbiano macchie o segni di alcun tipo. Come in un classico negozio di abiti da sposa facciamo le prove: io seguo anche la parte sartoriale - essendo figlia di una sarta - ma comunque mi affido a una sartoria esterna. Per le scarpe, invece, mi appoggio a un negozio di Mozzo, che le realizza su misura. Amo essermi specializzata in questo ambito, perché aiuto le ragazze ad arrivare al giorno più bello della loro vita senza essersi dissanguate». Ma c’è una curiosità che mi assale: cosa spinge una donna sposata a vendere il suo abito? «Le case sono sempre più piccole e gli abiti da sposa sono molto ingombranti: così vanno a finire diritti negli armadi delle mamme. Molte ragazze, piuttosto che lasciarli lì a prendere polvere, li portano qua e con quanto guadagnato dalla vendita si comprano un bracciale o una collana da portarsi sempre addosso, che simboleggi comunque quel giorno».
Ma facciamo una carrellata dei prezzi di tutto ciò che il mercatino offre. Abiti da cerimonia da uomo marca Pignatelli a 350 euro (in seta); un paio di chanel Ferragamo nuove 120 euro (costerebbero almeno il triplo); una shopping gialla di Prada 220 euro; un piumino Golia 250 (e non 600 euro); un delizioso abitino Etro in velluto e seta a 220 euro (e non un migliaio); uno smanicato di Pucci 220 euro (invece di 480); stivali in cuoio C’n’c 150 euro (di listino 600); passando ai cappotti un Ferragamo 380 (e non 1000), un Prada foderato in seta 220, un Burberry in lana cotta 360; trittico di sfiziosi abiti da sera Gucci, Aspesi e Etro, rispettivamente a 240, 260, 160 euro; tubini Dolce & Gabbana da 85 a 220 euro. E, se proprio si volesse spendere "un deca" per un pensierino, bracciali in pietre dure a 12 euro.
Dopo aver creato un tale paradiso del risparmio, quali altri sogni avrà questa dinamica e solare tarantina? «Continuare con il mio lavoro e soddisfare le mie clienti con le quali, ormai, ho un rapporto di amicizia. Tante passano solo per un saluto, per fare due chiacchiere e bere un caffè. Poi si congedano e mi dicono: "In questo posto mi ricarico"». Un cruccio, però, ce l’ha. Lei - che è sinonimo di abiti da sposa - ha due figlie (ed è persino nonna): una convive da 9 anni, l’altra da 10.
E la mamma ancora non ha potuto far indossare loro gli abiti bianchi che l’hanno resa celebre. Perfino a Parigi
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